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Non esiste una fine dei giochi per l’Afghanistan


5 marzo, 2013 Vinod Saighal Asia Meridionale Nessun commento

La questione è al centro dell’attenzione principalmente perché gli Stati Uniti hanno reso nota la loro intenzione di andarsene dall’Afghanistan. Le nazioni che potrebbero considerarlo come uno sviluppo positivo sono il Pakistan e la Cina, insieme all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, che erano i sostenitori principali dei talebani prima del 2001. Tuttavia, questi ultimi Paesi potrebbero non essere più così sicuri. Naturalmente, quelli che hanno inviato contingenti per l’ISAF ne saranno sollevati. Non è ancora chiaro se gli Stati Uniti abbiano in programma un ritiro completo o se lasceranno alcune forze residue, come è accaduto in Iraq; nessuno nel Paese, in ogni caso, si sognerebbe di etichettare la Missione Afghanistan come un successo. Gli statunitensi si stanno ritirando di loro spontanea volontà a causa dell’impopolarità del lungo conflitto e dell’elevato tasso di incidenti, nonché per le loro stesse difficoltà economiche. Non sono stati propriamente sconfitti; hanno piuttosto deciso di porre fine alle loro perdite. Vi è un gran numero di ipotesi, in Afghanistan come nelle nazioni maggiormente coinvolte, su quale sarà lo scenario post-ritiro, dopo la partenza delle forze internazionali schierate principalmente per stabilizzare l’Afghanistan ed impedire che possa cadere ancora una volta nelle mani dei talebani. Prima di addentrarsi in una riflessione più dettagliata riguardo al futuro dell’Afghanistan è necessario concentrarsi sullo scenario interno al paese e sulle probabili ricadute sulle nazioni più interessate. È necessario anche valutare come questi Paesi affronteranno tali ricadute.

Gli Stati Uniti sono stati l’attore primario in Afghanistan per oltre un decennio a partire dall’11 settembre 2001; è opportuno quindi cominciare da qui l’analisi. Alcuni politici a Washington non saranno contenti dell’evolversi degli eventi che li costringe a lasciare l’Afghanistan a se stesso, dal momento che per loro la guerra finisce senza che se ne fossero raggiunti gli obiettivi. Da adesso in poi, mentre potranno continuare ad assistere il governo afghano, non prevedono sicuramente di impegnarvi nuovamente ingenti forze. Permettere che i talebani controllassero una parte del Paese era evidentemente l’ultima cosa che desideravano. Per la stessa ragione, consentire al Pakistan di assumere un ruolo di primo piano, anche se su delega, non può essere uno sviluppo ben accolto. Ad un primo sguardo, gli Stati Uniti si stanno ritirando perché l’opinione pubblica è contraria al prolungarsi della permanenza. Tuttavia, è necessaria una seria riflessione su come elaborare un piano di contenimento nel caso si verificasse il peggio. Dovrebbero essere state pianificate strategie sufficienti per far sì che non possa verificarsi un collasso in stile Vietnam del loro alleato; certamente, la situazione sul territorio afghano dopo il 2014 sarà molto diversa da quella del Vietnam del Sud quando avvenne il collasso. Analogamente, a Washington avranno studiato come assicurarsi che le forze rimanenti in Afghanistan, se ne rimarranno, non portino ad un ripetersi di Dien Bien Phu. E nemmeno, se è per questo, le milizie pakistane e i Talebani sarebbero disposti a rischiare una rappresaglia statunitense peggiore di quella dopo l’11 Settembre.

Il secondo, terrificante scenario da tenere in considerazione è il crescente accumulo di armi nucleari del Pakistan e le sue condizioni interne, che non hanno mai cessato di essere al centro delle più importanti preoccupazioni degli Stati Uniti e del resto del mondo. Il 22 aprile 2009 il Segretario di Stato Hillary Clinton ha messo in guardia, presentando il suo rapporto davanti al Comitato per gli Affari Esteri, dal pericolo che il Pakistan possa cadere in mano ai terroristi: «Penso che non si possa mai sottolineare abbastanza la serietà della minaccia rappresentata nello Stato del Pakistan dalla continua avanzata, attualmente a poche ore da Islamabad, di una confederazione di terroristi ed altre forze che si pongono come obiettivo la conquista del Pakistan, Paese in possesso di armi nucleari». E di nuovo, il Segretario di Stato Clinton ha dichiarato, in un’intervista del 26 aprile sulla Fox Television, che il Pakistan ha rassicurato gli Stati Uniti circa la sicurezza delle proprie armi nucleari; tuttavia l’attuale situazione precaria del Paese solleva perplessità sulle rassicurazioni di Islamabad. «Una delle nostre maggiori preoccupazioni, che abbiamo sollevato con l’Esercito e il governo pakistano», ha detto la Clinton, «è che qualora il peggio, l’impensabile dovesse accadere, e quest’avanzata dei talebani promossa e sostenuta da Al Qaeda e da altri estremisti fosse in grado di rovesciare il governo che avesse fallito nuovamente nel respingerli, essi avrebbero accesso all’arsenale nucleare del Pakistan». Bruce Riedel, un ex ufficiale della CIA attualmente operante alla Brookings Institution di Washington, e consigliere del presidente Obama sulle politiche afghane, in un documento presentato alla Brookings il 30 maggio ha sottolineato i pericoli di una situazione di questo tipo. Egli ha dichiarato che «i combattimenti hanno messo in luce la traballante sicurezza dell’arsenale nucleare pakistano – l’arsenale in più rapida crescita al mondo. Oggi è sotto il controllo dei leader militari pakistani, ben protetto, nascosto, e sparpagliato. Ma se il Paese cadesse nelle mani sbagliate – quelle dei militanti islamici jihadisti e di Al Qaeda – così accadrebbe anche per l’arsenale. Gli Stati Uniti ed il resto del mondo si troverebbero ad affrontare la peggiore minaccia alla sicurezza dalla fine della Guerra Fredda. Contenere una minaccia nucleare del genere sarebbe complicato, se non impossibile».

Gli Stati Uniti e i loro alleati si sono concentrati sulla crescente minaccia nucleare in Iràn e Corea del Nord. Dopo l’episodio di A.Q. Khan il Pakistan sembrava essere passato in secondo piano. In realtà, la minaccia nucleare pakistana è molto più insidiosa e diffusa di quanto sia attualmente valutata ai piani alti. Le risorse dell’Iràn, in confronto a quelle pakistane, su una scala da 0 a 9 non arrivano nemmeno ad 1; il Pakistan si aggirerebbe attorno a 7 o 8 per la sua capacità nucleare. Analogamente la Corea del Nord, sebbene si sia spinta molto più avanti dell’Iràn, non è allo stesso livello del Pakistan per quanto riguarda il numero di ordigni di cui si stima sia in possesso. Fatto ancor più rilevante è che la Corea del Nord non ospita gruppi radicali che siano in grado di portare avanti atti terroristici di diversa intensità praticamente in tutto il mondo; l’Iràn oggi limita la sua portata a Libano, Siria e Gaza. I gruppi radicali pakistani, insieme ai simpatizzanti nell’Esercito Pakistano e nell’ISI, hanno le potenzialità per prendere il controllo nel Paese in un futuro non troppo lontano, forse più vicino di quanto si pensi. Ciò significa che entrerebbero in possesso dell’arsenale nucleare pakistano e del sistema di approvvigionamento implementato dalla Corea del Nord e dalla Cina. Un recente rapporto attribuito al professor Shaun Gregory della Bradford University (Regno Unito) afferma che i siti nucleari pakistani sono stati attaccati per tre volte dai jihadisti (Times of India, 11 agosto 2009). Un titolo a pagina 15 dell’Indian Express dell’11 gennaio 2009, citando un articolo apparso sul New York Times, recita: «il Presidente Obama teme che il nucleare pakistano possa cadere nelle mani sbagliate». Bisogna precisare che si tratta di incidenti dei quali gli analisti occidentali sono consapevoli. Potrebbero essercene altri noti solamente alle autorità pakistane. Perciò, per gli Stati Uniti e per il mondo, neutralizzare la capacità nucleare del Pakistan è molto più importante che occuparsi delle assai minori minacce rappresentate dalla Corea del Nord e dall’Iràn. Naturalmente la Cina avrebbe da obiettare su questo punto; ma ciò è prevedibile. In sintesi, l’Opzione Zero discussa in alcuni ambienti di Washington potrebbe non essere una strada praticabile.

Tra gli Stati direttamenti colpiti dagli eventi in Afghanistan, il Pakistan rimane il più importante. È il Paese maggiormente influenzato dall’Afghanistan, nonché il principale responsabile del peggioramento della situazione al suo interno. Senza addentrarci nella storia del passato, è più utile esaminare le opzioni attualmente aperte per un’alleanza tra Esercito Pakistano–ISI, la Shura di Quetta guidata dal Mullah Omar e la Rete Haqqani. Ci sono poi altri gruppi tra i talebani in Afghanistan e in Pakistan che emergono di volta in volta. Ad un primo sguardo, Washington è stata estremamente generosa col Pakistan dopo aver preso la decisione di ritirarsi lasciandosi dietro delle forze che devono ancora essere quantificate. Stando alle esperienze passate, sarà sostenuta fino in fondo e in ogni maniera possibile una massiccia migrazione di talebani in Afghanistan per favorire la loro presenza in un’area molto più vasta di quella attualmente prevista dagli Stati Uniti. Se questa fase prenderà il via gradualmente o ad un ritmo molto più veloce dipende di nuovo dalla potenziale opposizione dell’Esercito Nazionale Afghano (ANA), dal sostegno fornito all’ANA dalle forze USA residue e da altri fattori che entreranno sicuramente in gioco. Sono queste ultime forze e interessi che potrebbero diventare i fattori decisivi nell’evolversi della situazione in Afghanistan durante gli anni a venire. Basta considerare che lo spessore strategico che l’esercito pakistano ed i suoi agenti si stanno ritagliando potrebbe risolversi in un incubo strategico molto prima di quanto essi si aspettino.

I pakistani si sono mobilitati affinché gli statunitensi lasciassero l’Afghanistan, così da poter prendere il loro posto. Ironia della sorte, non molti anni e si pentiranno dell’uscita di scena degli Stati Uniti. Infatti, erano loro che garantivano un minimo di stabilità al Pakistan. Attualmente il terrorismo è diventato il fenomeno maggiormente distruttivo in Pakistan; il numero delle vittime di attacchi terroristici cresce rapidamente, salendo dalle 164 vittime nel 2003 alle 40.000 nel 2011. Secondo dati ufficiali, le perdite subite dalla nazione dal 2000 al 2011 ammontano a oltre 70 miliardi di dollari. Un elemento cruciale dell’attività terroristica fuori controllo che affligge la nazione è stato il diretto coinvolgimento del Pakistan nelle azioni militari in Afghanistan, e la creazione di unità di mujhaideen che, dopo il cessare degli scontri armati, sono salite alla ribalta come forza politica e militare prima in Afghanistan e poi in Pakistan. Da allora sono diventate ogni giorno più potenti. L’opinione di George Friedman, un osservatore nordamericano, è che il Pakistan stia perdendo la sua «traiettoria verso il futuro». Quest’opinione è sostenuta dal fatto che la vita sociale e politica in Pakistan è sempre più caotica, a causa del coinvolgimento dell’esercito nelle dinamiche interne al Paese, di un’economia di governo scarsamente regolata e dell’incapacità dei partiti di organizzare un’adeguata vita politica, situazione che va avanti da più di cinque anni. Questo “vuoto istituzionale” viene inevitabilmente riempito da altre organizzazioni, e nel caso del Pakistan da organizzazioni terroristiche.

Il secondo Paese che condivide una lunga linea di confine con l’Afghanistan è l’Iràn. Recentemente,
in alcuni ambienti è stata avanzata l’ipotesi che gli iraniani potessero supportare i talebani per rendere le cose più complicate agli USA. Tuttavia, la situazione cambierà radicalmente nel momento in cui i nordamericani si ritireranno e lasceranno l’Afghanistan a se stesso, sperando che l’ANA sia in grado di sostenere la situazione. Qualunque cosa succederà, gli iraniani non tollererebbero certamente una presa del potere, o anche una maggiore pressione da parte dei talebani che possa andare oltre la loro attuale sfera di influenza nel sud e nell’est. Inoltre, la loro politica potrebbe convergere con quella della Russia, delle Repubbliche centroasiatiche e dell’India. Gli iraniani si mobiliterebbero con decisione per sostenere le milizie di una rinnovata Alleanza del Nord, con la possibilità di diventare in questa maniera importanti detentori di interessi in Afghanistan, al pari del Pakistan. A tal proposito è opportuno ricordare che la strada Zaranj-Delaram costruita dall’India conferisce all’Iràn maggior spazio d’azione ed ha aperto diversi punti d’accesso dal confine iraniano all’Afghanistan che prima non erano disponibili, riducendo così la dipendenza di quest’ultimo dal Pakistan.

Ai fini di quest’analisi le Repubbliche centroasiatiche possono essere raggruppate con la Russia, in quanto un ritorno al potere dei talebani rappresenterebbe una minaccia comune a tutte queste nazioni. Si potrebbe ricordare come questa minaccia sia collegata – come è stata in passato – all’asilo offerto a gruppi come l’IMU (Movimento Islamico dell’Uzbekistan), sotto la guida di Juma Namangani, che aveva portato avanti profonde incursioni nella valle di Fergana e minacciava di destabilizzare Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Ad un certo punto anche il Kazakistan sarebbe stato contagiato. La seconda principale minaccia è rappresentata dal flusso di narcotraffico proveniente dall’Afghanistan; sebbene tale flusso sia rimasto praticamente inalterato indipendentemente da chi è alla guida del Paese. Alla fine degli anni ’90, quando i talebani avevano preso il controllo di più del 90% dell’Afghanistan, con la sola resistenza del Panjshir sotto Ahmed Shah Masud, la Russia si trovava in una posizione molto indebolita verso la fine dell’era El’cin. Oltre alla demoralizzazione e alla mancanza di attrezzature delle loro forze armate, i russi disponevano solamente di una debole e scoraggiata divisione motorizzata lungo il confine Afghanistan-Tagikistan. Se non ci fosse stato l’11 settembre è quasi certo che, dopo l’assassinio di Masud, i Talebani si sarebbero spinti più in profondità nell’Asia Centrale, essendo questo il piano d’azione del Pakistan e dell’Arabia Saudita, i maggiori sostenitori dei talebani. Questa volta la situazione è totalmente diversa. La Russia è perfettamente preparata a difendere i suoi interessi in Asia centrale – e in Afghanistan – una volta che gli USA si saranno ritirati.

L’India è stata lasciata per ultima in quanto è l’unico Paese preso in considerazione che non ha alcuna contiguità territoriale con l’Afghanistan. Dalle dichiarazioni e indicazioni sulla stampa sembra essere la nazione più apprensiva riguardo allo scenario post-ritiro degli USA nel 2014. L’India deve ancora realizzare che non le è stato concesso di ricoprire un ruolo chiave in Afghanistan, nonostante gli aiuti forniti e gli sforzi tesi allo sviluppo, perché fino alla fine gli Stati Uniti non l’hanno permesso. Per la maggior parte del periodo compreso tra il 2001 e il 2013/14 essi si sono sbilanciati pesantemente a favore del Pakistan. Non è più così. Le circostanze sul terreno e un’inadeguata direzione strategica hanno obbligato gli USA a raggiungere un accordo con i talebani e i loro sostenitori pakistani; ma poi hanno cominciato a rendersi conto che una maggiore presenza indiana in Afghanistan avrebbe potuto rivelarsi un fattore di stabilizzazione per il Paese. Con questa intenzione sarebbe stato dato il via libera al governo afghano per giungere ad un accordo strategico di difesa con l’India. Lo spiraglio di opportunità che le si è aperto permette all’India di diventare il Paese col ruolo più importante nell’Afghanistan post-2014, nel caso in cui il governo e la comunità strategica siano consci di ciò, vale a dire: scendere in campo per raggiungere i propri obiettivi. Quando l’India inizierà a considerare da questo punto di vista i suoi obblighi nei confronti di se stessa e dell’Afghanistan la situazione potrebbe prendere una spettacolare svolta per il meglio. Le diverse opzioni disponibili per l’India – che sarebbero generalmente bene accolte in Afghanistan – non necessitano di essere affrontate a questo punto. Basti dire che il popolo afghano considera l’India più positivamente, come una presenza benigna, se paragonata a tutti gli altri attori regionali contigui all’Afghanistan. Analogamente, praticamente tutti i paesi della regione, ad eccezione di quelli che sostengono l’alleanza Pakistan-talebani, accoglierebbero con favore l’India in qualità di partner strategico per la stabilizzazione dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, tra cui la maggior parte dei paesi dell’est e sud-est asiatico che hanno inviato contingenti in Afghanistan con l’ISAF, sarebbero pienamente d’accordo. L’unica falla in questo quadro promettente potrebbe non essere il Pakistan o la Cina, che ha assunto una posizione defilata perché il suo ”alleato nel bene e nel male” sarà di nuovo al comando dopo la partenza degli USA; ma potrebbe essere l’India stessa, con la sua insicurezza e l’incapacità di prendere posizione.

Avendo fatto un sommario delle potenze che hanno un interesse o sono in grado di influire sugli avvenimenti in Afghanistan, sia direttamente sia per procura (come nel caso della Cina), emerge che, in ultima analisi, è l’Afghanistan stesso che deciderà il suo futuro. Vale la pena di ribadire che l’Afghanistan di oggi è una faccenda completamente diversa da quando era governato dai talebani, oltre un decennio fa. Le condizioni sul campo, le possibilità che si sono aperte per il popolo afghano, il livello di educazione e le attività commerciali hanno subìto una profonda trasformazione. Non c’è alcuna possibilità che gli afghani o l’Afghanistan possano essere una facile riconquista per i talebani o i loro sostenitori. Dubbi sull’efficacia della risposta afghana all’ingresso dal Pakistan, ove esistano, devono essere immediatamente dissipati. Tali perplessità sussistono per diverse ragioni. La più importante di queste è: se le potenti forze statunitensi, supportate con tutta la tecnologia a loro disposizione, non sono state in grado di avere la meglio sui talebani, come può l’ANA, la cui efficacia rimane dubbia anche quando si avvale del supporto degli USA, riportare un successo contro di essi? La seconda riguarda il grado di supporto che sarebbe disponibile per il Governo afghano e l’ANA post-2014 a titolo di finanziamento, come anche di supporto tecnologico di alto livello, tra cui il supporto aereo, di elicotteri e dell’artiglieria pesante che verrebbero messi a disposizione dell’ANA.

Non vi è alcun dubbio che queste preoccupazioni siano ragionevoli. È molto improbabile che il governo afghano e l’ANA verranno bruscamente lasciati soli una volta che la maggior parte delle forze degli Stati Uniti si sarà ritirata. E’ probabile che si verificherà un certo disimpegno graduale nel corso degli anni. Quando ciò accadrà, altri donatori e sostenitori interessati ad una partecipazione in Afghanistan interverranno, a condizione che il governo afghano e l’ANA dimostrino capacità di resistenza e di aver impedito all’alleanza pakistano-talebana di estendere la sua influenza su aree più vaste. Per di più, ed è di vitale importanza capire questo aspetto, gli afghani sanno che devono badare a se stessi una volta che gli USA si ritireranno. Nessun intervento speciale in stile russo o del calibro di quello degli Stati Uniti si verificherà di nuovo per salvare l’Afghanistan da un attacco del Pakistan e dei suoi delegati. Contemporaneamente, uno dei motivi principali per sostenere i talebani, ove esistesse, verrebbe meno automaticamente. Una volta ritiratisi gli stranieri, i soli estranei che resterebbero sarebbero i talebani foraggiati dall’estero e i loro sostenitori. Così, per la prima volta in tutto il Paese si avrebbe chiarezza di intenti, la percezione che gli afghani sono in balia di se stessi, e che gli unici elementi estranei che minacciano loro e il loro futuro risiedono in Pakistan. Gli Stati Uniti e la NATO hanno unito i pashtun di Afghanistan e Pakistan con il sostegno di Islamabad creando così una nuova minaccia per il Pakistan. Molti pashtun residenti nelle FATA e nella NWFP hanno cominciato a identificare il Pakistan più come un nemico che un amico, perché Islamabad ha permesso agli USA e ad altri stranieri di attaccare i pashtun. Inoltre, le truppe pakistane si sono unite anch’esse alle uccisioni di pashtun con il pretesto di eliminare gli estremisti talebani pakistani. Come risultato, c’è la possibilità che, quando gli USA se ne andranno, il movimento del Grande Pashtunistan possa tornare alla ribalta. Un gran numero di pashtun stanziati da entrambi i lati della linea Durand, un gruppo molto più grande di quello che supporta i talebani, potrebbe gettarsi nella mischia. Kabul si assicurerà che ciò si verifichi.

Una volta dissipati i dubbi sulla capacità di Afghanistan ed ANA di aver la meglio sui talebani supportati dal Pakistan, è possibile discutere sulla capacità di resistenza e sull’efficacia dell’ANA. Senza dubbio in essa vi sono divisioni etniche e di altro genere. Tuttavia, queste potrebbero in larga misura passare in secondo piano una volta che vi sia una comunanza d’intenti e chiarezza circa il nemico e la sua provenienza, come anche sulla sofferenza che colpirebbe ancora una volta il popolo afghano nel caso in cui ai talebani fosse consentito di prendere il sopravvento una seconda volta. Quindi, qualunque dubbio riguardo all’ANA venga espresso, è comunque prevedibile che l’ANA darà una buona prova di sé. Per di più il governo afghano e l’ANA potrebbero pianificare l’eliminazione della linea Durand una volta per tutte, così da porre fine alla contesa in atto a causa di una divisione artificiale, e far sì che il vero nemico sia sfrattato da questi territori una volta per tutte. I potenti capi del nord preparerebbero le loro milizie per la battaglia che avrebbe luogo nel caso in cui i talebani dovessero avanzare. Inizialmente, le loro forze potrebbero supportare la cacciata dei talebani dall’Afghanistan da parte dell’ANA. Una volta che sia l’ANA che i capi del nord saranno nuovamente liberi di agire potrebbero ingaggiare una lotta senza esclusione di colpi, che potrebbe non limitarsi esclusivamente a combattimenti sul suolo afghano. I capi del nord potrebbero addestrare truppe irregolari per ripagare l’esercito del Pakistan con la sua stessa moneta, portando la lotta nelle zone interne del Pakistan con lo stesso terrore e le tattiche di inserimento IED che i talebani hanno utilizzato in Afghanistan. Molti comandanti ritengono che, una volta andati via gli USA, nel corpo a corpo sul suolo afghano i talebani o i pakistani non potrebbero mai essere alla loro altezza. La loro conoscenza del territorio, e di come sfruttarlo con raid di piccole unità in grado di mescolarsi coi locali, sarebbe vincente sui talebani provenienti da oltre confine. Se l’Esercito pakistano non dovesse essere tenuto a freno da un governo civile, una volta che gli USA se ne saranno andati potrebbe iniziare lo smantellamento del Pakistan.

Parlare di una fine dei giochi in Afghanistan non solo è prematuro, ma si fonda su un ragionamento che rimanda al passato. Il gioco vero e proprio per il futuro dell’Afghanistan avrà inizio una volta che il grosso delle forze statunitensi si ritireranno.

Traduzione dall’inglese di Giulia Giannasi


NOTE:
Vinod Saighal, maggiore generale (in congedo) dell’Esercito Indiano, direttore esecutivo della Eco Monitors Society e membro del Comitato Scientifico di "Geopolitica".

 

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